Corte di Cassazione Sezione 1 Civile
Sentenza del 25 novembre 2010, n. 23974
Data Udienza: 20/10/2010
Presidente Sezione: CARNEVALE Corrado Relatore: RAGONESI Vittorio
Attore: BANCA DI ROMAGNA S.P.A. Convenuto: FERRI MONICA
Pubbl. Ministero: PRATIS PIERFELICE
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CARNEVALE Corrado – Presidente Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere
Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere Dott. RAGONESI Vittorio – rel. Consigliere ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 6835-2009 proposto da:
BA. DI. RO. S.P.A. (C.F. (OMESSO)), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLE QUATTRO FONTANE 10, presso l’avvocato GHIA LUCIO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato BARTOLOTTI ANGELO, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
FE. MO. EREDE DI FE. PI. , ZU. FL. ; – intimati –
nonché da:
FE. MO. (C.F. (OMESSO)), ZU. FL. (C.F. (OMESSO)), nella qualita’ di eredi di FE. PI. , elettivamente domiciliate in ROMA, VIA SALARIA 332, presso l’avvocato DE MAJO GIUSEPPE, che le rappresenta e difende unitamente all’avvocato GHIGI ROMUALDO, giusta procura in calce al controricorso e ricorso incidentale;
– controricorrenti e ricorrenti incidentali – contro
BA. DI. RO. S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLE QUATTRO FONTANE 10, presso l’avvocato GHIA LUCIO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato BARTOLOTTI ANGELO, giusta procura in calce al ricorso principale;
– controricorrenti al ricorso incidentale –
avverso la sentenza n. 1872/2008 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 11/11/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 20/10/2010 dal Consigliere Dott. VITTORIO RAGONESI;
udito, per la ricorrente, l’Avvocato PIVANTI ANDREA, con delega, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso principale, rigetto del ricorso incidentale;
udito, per i controricorrenti e ricorrenti incidentali, l’Avvocato DE MAJO che ha chiesto il rigetto del ricorso principale, accoglimento dell’incidentale e deposita nota spese;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PRATIS PIERFELICE che ha concluso per il rigetto dei ricorsi.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Tribunale di Ravenna (in data 24.11.1997) emetteva, su ricorso della Ba. di. Ro. spa, decreto ingiuntivo n. 321 per il pagamento della complessiva somma di lire 1.124.533.063, dovuta per scoperti bancari, residui pagamenti di contratti di finanziamento e fideiussioni a garanzia di mutui, oltre interessi vanamente determinati, a carico di Fe. Pi. , quale debitore principale, e Zu. Fl. , quale fideiussore.
Esponeva, inoltre, la banca ricorrente che Zu. Fl. si era resa garante dei debiti contratti da Fe. Pi. in forza: a) di fideiussione 17.5.1984 fino a concorrenza di lire 200.000.000 a garanzia dei debiti derivanti dal C/C (OMESSO); b) di fideiussione (OMESSO), originariamente “omnibus”, ma successivamente limitata a lire 1.625.000.000.
Avverso tale decreto proponevano opposizione entrambi gli ingiunti deducendo l’assenza di prova dell’entità del credito preteso nel confronti del debitore principale Fe. Pi. ; in particolare: contestavano la validità della documentazione bancaria per gli scoperti di conto corrente; negavano l’esistenza dei crediti della banca per residui finanziamenti; contestavano l’esistenza del debito per fideiussione ad un mutuo bancario rilasciato dalla Bi. Ba. spa, ritenuto di scopo, il cui importo era stato illegittimamente utilizzato dalla ba. di. Ro. per estinguere delle passività estranee allo scopo del mutuo; deducevano la nullità della fideiussione omnibus della Zu. ; sostenevano in relazione alle fideiussioni rilasciate dalla Zu. la violazione delle regole di buona fede da parte della banca e contestavano che questa aveva continuato a far credito al debitore principale nonostante le di lui difficoltà economiche.
In ragione di tutto ciò gli opponenti chiedevano, quindi, dichiararsi la nullità e comunque revocarsi il decreto ingiuntivo opposto nonché, in via riconvenzionale, dichiararsi la nullità e/o l’inefficacia degli atti con i quali la banca aveva destinato la somma erogata da Bi. in difformità dallo specifico scopo del mutuo con conseguente condanna della banca ricorrente al risarcimento del danni.
Si costituiva la Ba. di. Ro. S.p.a., contestando tutti gli assunti e rilevando, quanto alle somme mutuate da Bi. Ba. , che era stato lo stesso Fe. ad impartirle le specifiche disposizioni in ordine all’impiego delle somme con scrittura (OMESSO) che produceva in copia. Tale produzione, così come quelle di altri documenti già in atti e quelle ulteriormente effettuate dalla banca opposta, veniva dagli opponenti contestata sotto il profilo della loro non conformità all’originale ex articolo 2719 c.c. e la successiva produzione dell’originale della scrittura (OMESSO) sopra citata veniva ulteriormente opposta con disconoscimento sia della sottoscrizione a firma apparente di Fe.Pi. sia sotto il profilo della falsità del contenuto per abusivo riempimento dello stesso in difformità dalle risultanze del contratto di mutuo con Bi. e dallo scopo del medesimo.
Si procedeva quindi a procedimento di verificazione della scrittura nonché all’espletamento di CTU tecnico-grafologica ed a CTU tecnico contabile.
Il Tribunale di Ravenna respingeva l’opposizione e confermava l’opposto decreto ingiuntivo con condanna degli opponenti at pagamento delle spese processuali.
Riteneva, invero, il primo giudicante che: a) quanto agli scoperti del conti correnti, la banca aveva offerto, già in sede di ricorso, idonea documentazione; b) egualmente era a dirsi, quanto al contratto di finanziamento, la cui erogazione non era stata contestata; c) relativamente alla fideiussione rilasciata dalla Ba. di. Ro. vi era prova del contratto e della richiesta di pagamento; d) Zu. Fl. doveva rispondere in base alle fideiussioni prestate; e) l’indicazione contenuta nel mutuo Bi. quanto a destinazione della somma era generica e come tale comprensiva anche della “ricerca di denaro contante per il ripianamento dei debiti dell’imprenditore”; in ogni caso era stata accertata l’autenticità della sottoscrizione della scrittura (OMESSO) e l’apposizione della stessa allorché la scrittura già conteneva l’autorizzazione alla Banca “a trattenere la somma a fronte delle seguenti linee di credito”, da intendersi come espressa autorizzazione all’utilizzo della somma mutuata a copertura dei suoi debiti, con conseguente titolarità della Ba. di. Ro. alla movimentazione della somma in questione a sua discrezione”.
Avverso tale decisione, il Fe. e la Zu. proponevano tempestivo appello, con il quale riproponevano tutte le eccezioni e domande già avanzate in primo grado e, quanto ai rapporti di conto corrente, ulteriormente eccependo la nullità dell’applicato anatocismo trimestrale degli interessi passivi.
Si costituiva la Ba. di. Ro. s.p.a. contrastando tutti i motivi del proposto gravame.
La Corte d’appello di Bologna, con sentenza n. 1872/08, in parziale riforma della sentenza impugnata revocava il decreto ingiuntivo opposto e rigettava la domanda riconvenzionale del Fe.
Avverso la detta sentenza ricorre per cassazione la Ba. di. Ro. spa sulla base di sei motivi cui resistono con controricorso Fe. Mo. , quale erede di Fe. Pi. , e Zu.Fl. , che propongono altresì ricorso incidentale affidato a tre motivi cui resiste con controricorso il Cr. di. Ro. spa.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La banca ricorrente, con il primo motivo di ricorso, contesta la ritenuta nullità delle clausole di capitalizzazione trimestrale degli interessi e di quelle di rinvio alle condizioni praticate usualmente su piazza per la determinazione del tasso.
Con il secondo motivo deduce l’erroneità della sentenza per non avere ritenuto adeguatamente provato il credito della banca in base alla produzione degli estratti conto dell’ultimo decennio, in presenza di una generica contestazione di controparte.
Con il terzo motivo assume che essa banca non aveva alcun obbligo di conservare la documentazione relativa a singole operazioni trascorsi dieci anni dal compimento delle stesse.
Con il quarto motivo sostiene che, nel caso di specie, in assenza di impugnazione ex articolo 1832 c.c. da parte del correntista, questi aveva l’onere di fornire la prova del fondamento delle proprie eccezioni.
Con il quinto motivo deduce l’errore motivazionale in cui è incorso il giudice nello stabilire che il CTU nel calcolo degli interessi dovesse partire da un valore pari a zero alla data dell’1.1.93.
Con il sesto motivo censura la sentenza impugnata laddove la stessa ha ritenuto non provata l’erogazione del mutuo di lire 180 milioni a favore nel Fe. ritenendo inadeguata la documentazione fornita in proposito.
Le ricorrenti, con il primo motivo di ricorso incidentale contestano la decisione della Corte d’appello laddove ha respinto la domanda risarcitoria relativa all’abusivo utilizzo da parte della ba. di. Ro. della somma di lire 1.295.950.000 erogata dalla Bi. ba. per estinzione di attività estranee alla attività imprenditoriale del Fe.
Con il secondo motivo affermano l’erroneità della decisione laddove ha escluso la legittimazione del Fe. ad agire quale mandante contro la mandataria Ba. di. Ro. che aveva riempito contra pacta il foglio contenente il contratto parzialmente sottoscritto in bianco.
Con il terzo motivo contestano l’intervenuta pronuncia di compensazione delle spese di giudizio. I ricorsi vanno preliminarmente riuniti ex articolo 335 c.p.c..
Il primo motivo del ricorso principale è, per certi versi, inammissibile e, per altri infondato.
Per quanto concerne, infatti, la capitalizzazione trimestrale degli interessi la Corte d’appello ha dato atto che la banca si era doluta del fatto che detta censura era stata proposta tardivamente solo con l’atto d’appello, ma ha correttamente ritenuto tale doglianza infondata alla luce della ormai costante giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto da una banca nei confronti di un correntista, la nullità della clausola del contratto di conto corrente bancario, che prevede la capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal cliente sul saldo passivo, in quanto stipulata in violazione dell’articolo 1283 cod. civ., e’ rilevabile d’ufficio, ai sensi dell’articolo 1421 cod. civ., anche in sede di gravame, qualora vi sia contestazione, ancorché per ragioni diverse, sul titolo posto a fondamento della domanda degli interessi anatocistici, rientrando nei compiti del giudice l’indagine in ordine alla sussistenza delle condizioni dell’azione. In tale giudizio, infatti, il creditore assume la veste sostanziale di attore, sicché, laddove l’opponente abbia contestato l’ammontare degli interessi dovuti, il giudice, nel determinare tali interessi, dovendo utilizzare il titolo contrattuale posto a fondamento della pretesa, è tenuto a rilevare d’ufficio la nullità dalla quale il negozio sia affetto. (Cass. 21141/07; Cass. 4853/07).
Tale motivazione non risulta adeguatamente censurata nel primo motivo del ricorso principale per come la censura risulta dal quesito formulato ai sensi dell’articolo 366 bis c.p.c. ove si pone esclusivamente la domanda relativa alla nullità o meno delle clausole di capitalizzazione trimestrale degli interessi anche se inserite in contratti anteriori alla entrata in vigore della Legge n. 154 del 1992, senza alcun riferimento alla inammissibilità del motivo d’appello di cui si fa cenno solo nel motivo.
Il motivo in esame censura, poi, come risulta dall’appena citato quesito, la pronuncia della Corte d’appello che ha ritenuto la nullita’ dei patto sugli interessi anatocistici.
Tale censura è infondata alla luce della ormai costante giurisprudenza di questa Corte secondo cui, in tema di capitalizzazione trimestrale degli interessi sui saldi di conto corrente bancario passivi per il cliente, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 425 del 2000, che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione dell’articolo 76 Cost., il Decreto Legislativo n. 342 del 1999, articolo 25, comma 3, il quale aveva fatto salva la validità e l’efficacia – fino all’entrata in vigore della delibera C1CR di cui al medesimo articolo 25, comma 2 – delle clausole anatocistiche stipulate in precedenza, siffatte clausole, secondo i principi che regolano la successione delle leggi nel tempo, sono disciplinate dalla normativa anteriormente in vigore. Le stesse, pertanto, sono da considerare nulle in quanto stipulate in violazione dell’articolo 1283 cod. civ., perché basate su un uso negoziale, anziché su un uso normativo, mancando di quest’ultimo il necessario requisito soggettivo, consistente nella consapevolezza di prestare osservanza, operando in un certo modo, ad una norma giuridica, per la convinzione che il comportamento tenuto è giuridicamente obbligatorio, in quanto conforme ad una norma che già esiste o che si reputa debba fare parte dell’ordinamento giuridico. Infatti, va escluso che detto requisito soggettivo sia venuto meno soltanto a seguito delle decisioni della Corte di cassazione che, a partire dal 1999, modificando il precedente orientamento giurisprudenziale, hanno ritenuto la nullità delle clausole in esame, perché non fondate su di un uso normativo, dato che la funzione della giurisprudenza è meramente ricognitiva dell’esistenza e del contenuto della regola, non già creativa della stessa, e, conseguentemente, in presenza di una ricognizione, anche reiterata nel tempo, rivelatasi poi inesatta nel ritenerne l’esistenza, la ricognizione correttiva ha efficacia retroattiva, poiché, diversamente, si determinerebbe la consolidazione “medio tempore” di una regola che avrebbe la sua fonte esclusiva nelle sentenze che, erroneamente presupponendola, l’avrebbero creata. (Cass. sez. un. 21095/04; Cass. 19822/05; Cass. 10599/05; Cass. 2101/05; Cass. 10376/05; Cass. 6514/07; Cass. 15218/07).
La seconda censura contenuta nel primo motivo di ricorso riguarda la determinazione, ritenuta nulla dalla Corte d’appello, del tasso d’interesse alle condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza.
Assume, a tale proposito, il ricorrente che non si è tenuto conto che la clausola era stata stipulata prima della entrata in vigore della Legge n. 154 del 1992.
Anche tale doglianza è infondata.
Questa Corte ha affermato a più riprese che in tema di contratti bancari, nel regime anteriore alla entrata in vigore della disciplina dettata dalla legge sulla trasparenza bancaria 17 febbraio 1992, n. 154, poi trasfusa nel testo unico 1 settembre 1993, n. 385, la clausola che, per la pattuizione di interessi dovuti dalla clientela in misura superiore a quella legale, si limiti a fare riferimento alle condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza, è priva del carattere della sufficiente univocità, per difetto di univoca determinabilità dell’ammontare del tasso sulla base del documento contrattuale, e non può, quindi, giustificare la pretesa della banca al pagamento di interessi in misura superiore a quella legale quando faccia riferimento a parametri locali, mutevoli e non riscontrabili con criteri di certezza (e non anche quando rimandi ad una disciplina stabilita su scala nazionale in termini chiari e vincolanti, circostanza che non ricorre nel caso di specie (ex plurimis Cass. 4094/05; 870/06; 4490/02; 13823/02; 9465/00).
Il secondo motivo del ricorso è inammissibile.
Il quesito formulato ai sensi dell’articolo 366 bis c.p.c. è, infatti, del tutto inadeguato a non rispettoso dei criteri stabiliti dal codice di procedura civile.
Lo stesso, infatti si limita ad interrogare questa Corte su quale sia l’onere probatorio che incombe alla banca per dimostrare giudizialmente il proprio credito in relazione ad un rapporto di conto corrente non oggetto di contestazione da parte del correntista, quando era, invece, onere della banca ricorrente formulare il principio di diritto che riteneva applicabile in riferimento alla fattispecie concreta. Il terzo motivo ed il quarto motivo possono essere esaminati congiuntamente e si rivelano infondati.
La Corte d’appello ha correttamente ritenuto che la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi e di quella di determinazione del tasso in base agli usi di piazza comportava per la Banca l’onere di provare l’effettiva entità del proprio credito non essendo a tal fine sufficiente la produzione dei saldo conto come avvenuto nella specie.
Tale affermazione è del tutto conforme all’orientamento espresso da questa Corte secondo cui “una volta esclusa la validità della clausola sulla cui base sono stati calcolati gli interessi, soltanto la produzione degli estratti a partire dall’apertura del conto corrente – considerato che, in virtù dell’unitarietà del rapporto, da tale momento decorre la prescrizione del credito di restituzione per somme indebitamente trattenute dalla banca a titolo di interessi (Cass. 9 aprile 1984, n. 2262) – consente, attraverso una integrale ricostruzione del dare e dell’avere con l’applicazione del tasso legale, di determinare il credito della banca, semprechè la stessa non risulti addirittura debitrice, una volta depurato il conto dalla capitalizzazione degli interessi non dovuti. Allo stesso risultato, evidentemente, non si può pervenire con la prova del saldo, comprensivo di capitali ed interessi, al momento della chiusura del conto. Infatti, tale saldo non solo non consente di conoscere quali addebiti, nell’ultimo periodo di contabilizzazione, siano dovuti ad operazioni passive per il cliente e quali alla capitalizzazione degli interessi, ma a sua volta discende da una base di computo che è il risultato di precedenti capitalizzazioni degli interessi” (Cass. 10692/07 Cass. 16679/09).
D’altra parte, per ciò che concerne la mancata contestazione degli estratti conto da parte del correntista poi fallito, si deve premettere che è principio pacifico quello secondo cui l’approvazione del l’estratto-conto rende incontestabili soltanto le registrazioni a debito e credito nella loro realtà contabile, ma non anche l’efficacia e la validità dei rapporti sostanziali. Peraltro, solo ove sia accertata l’efficacia e la validità di tali rapporti e, cioé, nel caso che qui interessa, della clausola che fissa gli interessi in misura extralegale, “l’approvazione ripetuta di estratti-conto può valere, per la sua natura confessoria, a far ritenere che il concreto ammontare degli interessi computati dalla banca sia avvenuto in conformità del criterio dettato in via preventiva con la clausola” (Cass. 4605/96). In altre parole, la congruenza degli interessi computati con la clausola che ne ha stabilito il criterio di determinazione, non implica la validità di tale clausola, che anzi, per quanto detto, va nel caso di specie esclusa.
Deve concludersi, quindi, che, a seguito della contestazione da parte del Fe. delle clausole in esame relative alla determinazione degli interessi, spettava alla banca fornire la prova dell’andamento dei rapporti di conto corrente a partire dalla loro origine.
Tutto ciò porta a negare ogni fondamento al quarto motivo di ricorso In tale contesto risulta la totale infondatezza anche del terzo motivo.
La banca ricorrente confonde l’onere di conservazione della documentazione contabile con l’onere della prova del credito.
Il fatto di non essere tenuta a conservare le scritture contabili oltre i dieci anni dalla loro ultima registrazione non esonera la parte che vi è tenuta dall’onere di provare il proprio credito.
Nel caso di specie, pertanto, incombendo tale onere alla banca, il fatto che la stessa a suo dire – non abbia conservato le scritture contabili relative ai rapporti di conto corrente per il periodo anteriore al 1993, ricade esclusivamente a suo danno non essendo in condizione di provare i propri crediti.
Il quinto motivo e’ infondato.
La banca non ha provato per le ragioni dianzi esposte che alla data dell’1.1.1993, cui si riferisce il primo estratto-conto riportato in giudizio, il credito riportato in detto estratto conto e conclusivo dell’andamento dei conti per gli anni pregressi fosse quello effettivo in ragione della più volte citata nullità delle clausole sugli interessi. Del tutto correttamente pertanto la Corte d’appello ha azzerato le dette risultanze in quanto non provate e disposto che il calcolo dei rapporti di dare ed avere venisse calcolato dal CTU a partire dalla detta data del 1993 partendo da zero.
Il sesto motivo è inammissibile.
Tale motivo contiene diverse censure ove si deducono una serie di errori di diritto: a) la Corte d’appello avrebbe errato a non ritenere che la richiesta di prestito costituiva il documento con cui si è stipulato un contratto a mezzo corrispondenza; b) si sarebbe erroneamente negato valore probatorio al prospetto del piano di ammortamento che doveva ritenersi parte integrante del contratto di mutuo; c) si sarebbe invertito l’onere della prova laddove si è ritenuto che fosse a carico della banca fornire la prova del contratto di mutuo estinto.
Di tali questioni non si rinviene peraltro alcuna traccia nel quesito di diritto formulato ai sensi dell’articolo 366-bis c.p.c. ove viene genericamente chiesto sera fronte della produzione del contratto di mutuo (ma la corte d’appello ha negato che si trattasse del contratto) e alla produzione in copia fotostatica di documenti, fosse corretto negare la sussistenza della somma erogata a titolo di mutuo.
Il quesito, così come genericamente formulato, non risponde pertanto ai requisiti di cui all’articolo 366 c.p.c. non riflettendo il contenuto delle censure contenute nel motivo e non contenendo la formulazione di alcun principio di diritto limitandosi in sostanza a chiedere a questa Corte se la decisione del giudice di seconde cure era corretta o meno.
Venendo all’esame del ricorso incidentale si rileva l’inammissibilità del primo motivo.
Esso difetta infatti, di quesito mentre per l’ipotesi di doglianza di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 5, quale quella di specie, il ricorso deve contenere la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione per cui la relativa censura ;in altri termini deve cioè contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità. (Cass. sez. un 20603/07).
Il secondo motivo è anch’esso inammissibile.
La sentenza impugnata contiene in ordine alla domanda riconvenzionale presentata dalle ricorrenti incidentali diverse rationes decidendi: in primo luogo, la mancanza di legittimazione del Fe. a dedurre il mancato rispetto della destinazione del mutuo allo scopo concordato; in secondo luogo che, comunque, non vi era la prova che fosse stata violata la destinazione di scopo perche’, essendo il Fe. un imprenditore persona fisica, non risultava precisato ne’ provato quale dei conti correnti sui quali erano state riversate le somme del mutuo fossero destinati all’attività imprenditoriale e quali fossero quelli personali; in terzo luogo, che non risultava in alcun modo provato il dedotto abusivo riempimento del contratto.
II motivo non censura in alcun modo la seconda e la terza ratio e ciò è riflesso anche nel quesito ex articolo 366 bis c.p.c. ove si pone solo la domanda relativa alla legittimazione, dando però per scontato che vi fosse stato il riempimento contra pacta della scrittura; circostanza esclusa come detto dalla corte d’appello e non censurata.
Il terzo motivo è inammissibile.
La Corte d’appello ha correttamente motivato la compensazione delle spese in base all’esito complessivo del giudizio ove vi è stata soccombenza reciproca.
In conclusione dunque il ricorso principale va rigettato, mentre quello incidentale va dichiarato inammissibile. La reciproca soccombenza giustifica la compensazione delle spese di giudizio.
P.Q.M.
Riunisce i ricorsi e rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile il ricorso incidentale; compensa le spese di giudizio.
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