Usura, l’inclusione nel T.E.G. degli interessi di mora: una questione ancora aperta

La necessità di includere gli interessi di mora nel computo del T.E.G. (Tasso Effettivo Globale, inteso sinteticamente quale costo effettivo del finanziamento sostenuto dal cliente) applicato ad un rapporto negoziale ai fini della verifica del superamento del c.d. tasso soglia (costo-limite del finanziamento oltre il quale si configura l’usura) continua ad essere oggetto di ampio dibattito dottrinale e giurisprudenziale, registrandosi posizioni diametralmente opposte e variamente articolare, che si illustreranno nelle loro linee essenziali essendo in questa sede inevitabili alcuni passaggi ex professo.

Principio di simmetria vs. omnicomprensività

Nell’attuale panorama giudiziario, e in particolare nelle controversie banca/cliente relative all’accertamento di pratiche usurarie, si riscontra sempre più spesso il ricorso a Consulenze Tecniche di Parte che rilevano il superamento del tasso soglia mediante l’inclusione, nel calcolo del T.E.G., di “voci di costo” che non sono contemplate dalle Istruzioni della Banca d’Italia e che, quindi, non sono oggetto di computo ai fini della rilevazione del T.E.G.M. – “Tasso Effettivo Globale Medio”. Come noto, tale Tasso medio viene rilevato trimestralmente dalla ridetta Banca per categorie di operazioni omogenee ed è utilizzato quale base di calcolo per l’individuazione del tasso-soglia ad opera del Ministero dell’Economia con appositi decreti.

Un esempio tipico di tali “voci” sono gli interessi di mora e le penali per l’estinzione anticipata del rapporto.

Siffatte ricostruzioni peritali, secondo una diffusa giurisprudenza, non sono condivisibili in quanto “per verificare la possibile esistenza di interessi usurai non sono utilizzabili criteri non conformi alle Istruzioni della Banca d’Italia, con particolare riferimento all’inclusione degli interessi di mora nel calcolo del TEG, in quanto espressamente esclusi dalle rilevazioni trimestrali. La verifica va condotta ponendo a confronto dati tra loro omogenei, in quanto se il raffronto non viene effettuato adoperando la medesima metodologia di calcolo, il dato che se ne ricava non può che essere in principio viziato.” (Tribunale di Torino, 24 novembre 2017).

Trattasi del c.d. principio di simmetria, la cui violazione provocherebbe un evidente paradosso teorico e operativo.

Nell’ambito della concessione di un finanziamento, invero, le Banche devono confrontarsi con due distinte operazioni:

  • prima della stipulazione del contratto, devono verificare che il costo complessivo per il cliente, e quindi il T.E.G., non finisca per superare il tasso soglia pro temporevigente;
  • dopo la stipulazione del contratto, devono comunicare il T.E.G. (insieme a tutti gli altri applicati nel periodo) alla Banca d’Italia onde consentire a quest’ultima, a propria volta, di calcolare il T.E.G.M..

Secondo tale orientamento, in sintesi, sarebbe assurdo costringere le Banche a computare gli anzidetti T.E.G. ante (relativi alla verifica del superamento del tasso-soglia) e il T.E.G. post (necessario alla rilevazione ai fini statistici di Bankitalia) secondo due parametri non coincidenti:

  • il primo alla stregua del principio generale di cui all’art. 644, co. IV, c.p. in ragione del quale “per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito” (con evidente margine di incertezza, trattandosi di norma “in bianco”);
  • il secondo in base a specifici (e ineludibili, per le Banche) parametri fissati dalla regolamentazione secondaria (id est: Istruzioni della Banca d’Italia), che esclude espressamente dal computo determinate “voci di costo”.

Non vi sarebbe altra soluzione, quindi, se non quella di individuare nelle sole Istruzioni della Banca d’Italia (che, come detto, escludono dalla rilevazione, tra l’altro, “gli interessi di mora e gli oneri assimilabili contrattualmente previsti per il caso di inadempimento di un obbligo”) un “parametro unificato” da utilizzare non solo per la determinazione del T.E.G.M., ma anche per il calcolo del T.E.G. della singola operazione bancaria oggetto di verifica. Tanto presupponendo che le Istruzioni per la rilevazione dei tassi effettivi globali medi ai sensi della legge sull’usura emanate dalla Banca d’Italia, le quali individuano i costi espressamente inclusi nel T.E.G., hanno natura di norme tecniche autorizzate dalla normativa regolamentare, necessarie per dare uniforme attuazione al disposto della norma primaria di cui all’art. 644, co. IV, c.p. (cfr. per il principio, Tribunale di Ferrara, 23 maggio 2017).

Si oppone a tale filone l’orientamento per il quale detto criterio c.d. simmetrico deve cedere il passo alla poziore “centralità sistematica” dell’art. 644, co. IV, c.p. – espressione del c.d. principio di omnicomprensività – il quale prevale sempre e comunque sul contenuto delle fonti regolamentari (ea sunt: Istruzioni della Banca d’Italia), in primis in ragione della relativa collocazione gerarchica.

Recenti pronunce di merito e di legittimità sembrano far propria tale seconda impostazione.

Al proposito, la Cassazione (cfr. sentenza n. 8806/2017), premesso che il “carattere omnicomprensivo per la rilevanza delle voci economiche – nel limite esclusivo del loro collegamento all’operazione di credito – vale non diversamente per la considerazione penale e per quella civile del fenomeno usurario”, ha specificato che detto principio “non può non valere … pure per l’intero arco normativo che risulta regolare il fenomeno dell’usura e quindi anche per le disposizioni regolamentari ed esecutive e per le istruzioni emanate dalla Banca d’Italia”.

La Corte ha evidenziato quindi “l’esigenza di una lettura a sistema di queste varie serie normative”, fermo restando che “al centro di tale sistema si pone la definizione di fattispecie usuraria tracciata dall’art. 644, alla quale si uniformano, e con la quale si raccordano, le diverse altre disposizioni che intervengono in materia”.

Ancora più recentemente il Supremo Collegio, con ordinanza n. 15188/2017 – avente a specifico oggetto le c.d. commissioni di massimo scoperto, ma che ha offerto spunti di riflessione particolarmente interessanti per l’intera materia – ha individuato quale “nodo essenziale” la questione della omogeneità o meno “dei dati comparati in punto di usura”, vale a dire, “da un lato, gli oneri economici presi in considerazione ai fini delle rilevazioni dei TEGM, di cui ai decreti di rilevazione trimestrale del ministero dell’economia; dall’altro, gli oneri economici su cui si deve esercitare la verifica dell’eventuale usurarietà dei negozi posti in essere dall’autonomia dei privati”.

In tale precedente gli Ermellini hanno avuto modo di rilevare, facendo peraltro eco a numerose pronunce di merito, che “la normativa della L. n. 108 del 1996 contempla espressamente l’eventualità della non omogeneità dei dati da porre a confronto”; precisando che “il contesto della vigente legge antiusura non esplicita una regola di omogeneità dei dati in comparazione; e neppure la suppone in via necessaria” e che “le stesse istruzioni della Banca d’Italia – che, per la verità, non risultano prese in considerazione nell’ambito della normativa di cui alla L. n. 108 del 1996 – … sono in via espressa rivolte esclusivamente agli intermediari”, e pertanto esse “non hanno, nè propongono, alcun contatto o interferenza con i negozi dell’autonomia dei privati”.

Anche nel merito si è affermato che “L’esigenza di una simmetria di metodologia di calcolo del TEGM e del TEG contrattuale non può prevalere sul chiaro dato testuale della legge 108/96 in punto elementi da computare ai fini della verifica dell’usura

 

La differenza di natura e funzione tra interessi corrispettivi e moratori

Un argomento sovente sostenuto dalle difese della Banche nei giudizi ove si contesta il superamento del tasso-soglia per effetto del computo anche degli interessi di mora nel T.E.G. si fonda sulla diversità ontologica e teleologica degli interessi corrispettivi e di quelli moratori.

Si ritiene, infatti, che gli interessi corrispettivi, in quanto costituenti l’essenza stessa dell’operazione creditizia (fungendo da corrispettivo per la Banca), andrebbero senz’altro inclusi nel T.E.G.; viceversa, gli interessi moratori andrebbero esclusi poiché: a) la relativa corresponsione, essendo legata all’inadempimento, è solo eventuale, essendo circoscritta ad un’ipotesi di involuzione patologica del rapporto; b) svolgono, in detto scenario, una funzione essenzialmente risarcitoria.

In una recente pronuncia di merito (Tribunale di Massa, 11 ottobre 2017) sono stati chiaramente sintetizzati i diversi argomenti che attesterebbero, tuttavia, la preferibilità dell’indirizzo opposto, ossia:

  • la (già citata) centralità sistematica che assume, nell’ordinamento, l’art. 644, co. IV, c.p. e la conseguente preminenza del principio di omnicomprensività su quello di simmetria;
  • il fatto che la L. n. 108 del 1996 ha individuato un unico criterio ai fini dell’accertamento del carattere usurario degli interessi, ma non ha previsto differenziazioni circa la natura e la funzione degli interessi medesimi; peraltro, rammenta il predetto Estensore, già anteriormente all’entrata in vigore della normativa sull’usura, “nel sistema era già presente un principio di omogeneità di trattamento degli interessi, pur nella diversità di funzione, come emerge anche dell’art. 1224, 1 comma, cod. civ., nella parte in cui prevede che se prima della mora erano dovuti interessi in misura superiore a quella legale, gli interessi moratori sono dovuti nella stessa misura” (cfr. Cass. n. 5286/2000);
  • il testo della Relazione Governativa di presentazione al Parlamento del D.L. n. 394/2000, convertito in L. n. 24/2001, nel quale si legge: “l’articolato fornisce al comma 1 l’interpretazione autentica dell’art. 644 c.p. e dell’art. 1815 comma secondo c.c.. Viene chiarito che quando in un contratto di prestito sia convenuto il tasso di interesse (sia esso corrispettivo, compensativo o moratorio) il momento al quale riferirsi per verificare l’eventuale usurarietà sotto il profilo sia penale che civile è quello della conclusione del contratto a nulla rilevando il pagamento degli interessi”;
  • la configurazione dell’usura quale reato istantaneo, consumantesi al momento della pattuizione degli interessi (non a quello della scadenza della relativa obbligazione o del suo pagamento), circostanza che confermerebbe come gli interessi moratori, anche se eventuali, sono comunque rilevanti in quanto convenuti ab origine, così come quelli corrispettivi (determinazione del tasso-soglia nel c.d. worst case);
  • il fatto che sia la disciplina civilistica (1815 c.c.), sia quella penalistica (644 c.p.) in tema di usura, così come la definizione generale di interessi moratori fornita dalla L. n. 108/1996, fanno uso del termine “interessi” senza particolari “declinazioni ed attributi” rende plausibile “un’interpretazione massimamente espansiva della portata delle norme de quibus, tale da riferirsi a qualsiasi specie di «interessi» convenzionalmente previsti”;
  • l’inclusione nel T.E.G. delle commissioni di massimo scoperto per effetto dell’art. 2 bis del D.L. 186/2008, convertito in L. n. 2/2009, che rimarca l’irrilevanza della distinzione tra oneri fisiologici e patologici del rapporto ai fini della verifica di pratiche usurarie, atteso che dette commissioni (evidentemente collegate all’erogazione del credito) riflettono (analogamente agli interessi di mora) la patologia del rapporto;
  • la portata esegetica del mentovato art. 1 del D.L. n. 394/2000, convertito in L. n. 24/2001, riferito agli interessi “convenuti a qualunque titolo”; è quindi il riferimento agli “altri vantaggi” usurari contenuto nell’art. 644 c.p. che consente di ricondurre all’ambito applicativo della stessa anche gli interessi moratori. In altre parole, “un’interpretazione dell’inciso «in corrispettivo» di tipo logico-sistematico consente di riconnettere tale espressione alla pattuizione tanto degli interessi quanto degli altri vantaggi, laddove si intenda la corrispettività non già quale mero attributo descrittivo degli interessi, bensì, in conformità al tenore logico-testuale del citato art. 644 c.p., come connotato afferente alla funzione degli stessi interessi o vantaggi nell’ambito della complessiva portata causale del rapporto contrattuale”.

Anche con l’ordinanza n. 23192/2017 la Corte di Cassazione ha ribadito, richiamando specifici precedenti (inter alia, Cass. n. 5598/2017), che “in tema di contratto di mutuo, l’art. 1 della I. n. 108 del 1996 … riguarda sia gli interessi corrispettivi che quelli moratori (Cass. 4 aprile 2003, n. 5324)”, rigettando la tesi del Giudice di prime cure il quale aveva rilevato “in maniera apodittica che il tasso di soglia non fosse stato superato nella fattispecie concreta, solo perché non sarebbe consentito cumulare gli interessi corrispettivi a quelli moratori al fine di accertare il superamento del detto tasso”.

Del resto, la più recente Giurisprudenza di merito si pone nel solco di quella appena richiamata, evidenziando che:

 

  • la verifica del superamento del tasso soglia va eseguita sia con riferimento agli interessi corrispettivi sia con riferimento agli interessi moratori, dapprima considerandoli separatamente e, poi, sommandoli, qualora, per espressa previsione contrattuale, l’interesse moratorio venga contemplato non in sostituzione a quello corrispettivi ma in aggiunta al medesimo (Tribunale Roma, 5 Gennaio 2018);
  • come sostenuto dalla giurisprudenza di legittimità e stando all’orientamento di questa Sezione, l’interesse di mora [va] calcolato al fine del superamento del tasso soglia e nel caso di superamento non è dovuto alcun interesse (da ultimo, Cass. 23192/17), sicché quanto pagato dal mutuatario va imputato integralmente al capitale da restituire (Tribunale Bari, 11 Gennaio 2018).

Illuminante è poi la sentenza del Tribunale di Bari del 17 marzo 2018, per cui “è vero che la mora non rientra nell’ambito fisiologico dell’operazione di finanziamento, avendo un carattere eventuale, ma è altrettanto vero che la stessa legge n. 108/96 tende ad assicurare una copertura completa, estesa a tutti i costi dell’operazione di credito: dai costi immediati a quelli procrastinati, da quelli ricorrenti a quelli occasionali. Pertanto, per determinare il tasso di interesse usurario non si può non tenere conto di quanto disposto dall’art. 644 co 4 c.p.”.

La questione dell’inclusione degli interessi di mora nel computo del T.E.G. appare, oggi più che mai, aperta e lungi dall’essere composta, nonostante i plurimi interventi della Cassazione cui fa da sostrato una copiosa giurisprudenza di merito.

A parere di chi scrive, le posizioni favorevoli all’inclusione poggiano su argomentazioni teoriche e sistematiche di innegabile solidità; tuttavia, è evidente che assecondarle tout court finirebbe per “schiacciare” le Banche tra l’incudine del principio di omnicomprensività e il martello delle Istruzioni della Banca d’Italia, creando, di fatto, un’impasse operativa difficile da sormontare.

Appare quindi auspicabile un definitivo intervento nomofilattico a Sezioni Unite della Corte di Cassazione, da abbinare e coordinare eventualmente con un adeguamento delle Istruzioni della Banca d’Italia, una volta chiaritone il rango nella gerarchia delle fonti.